venerdì 21 febbraio 2014

Belle da morire #I brividi del venerdì

Alla disperata ricerca di Psycho (non il film, che ho visto, ma del libro, che è introvabile) ho scovato questo libro di racconti di Robert Bloch; così, meglio di niente, l’ho comprato subito per conoscere direttamente la mano che ha dato vita all’instabile Norman Bates ed al suo tetro motel, eternato nella storia del cinema dal grandissimo Alfred Hitchcock, e basato, tra l’altro, sulle reali vicende del serial killer americano Ed Gein.
Il titolo completo dell’opera è Belle da morire. Eros e morte in quattordici storie mozzafiato.
Intanto le storie sono tredici (che ne abbia persa una per strada?), comunque sia, si tratta di una godibile raccolta di racconti horror, fantastici e semi seri.
Il macabro e lo scherno si mescolano in questi racconti, a volte assolutamente crudeli, altre  inverosimilmente sardonici (lo sapevate che il diavolo si può trovare sulle Pagine Gialle?!).


Quella mistica creatura di nome donna
Al di là delle atmosfere più o meno horror, la figura centrale di questi racconti risulta essere la donna in ogni suo aspetto. Donna-angelo o femme fatale, vittima o carnefice, la donna è l’oggetto del desiderio; agognata creatura dalle forme ammalianti e suadenti, la donna di Bloch viene spersonalizzata nelle fantasie erotiche dei protagonisti maschili: le donne non sono persone, sono oggetti sensuali e sessuali, da cui l’impellente desiderio di possesso ossessiona le menti maschili dei racconti, portandoli fino alla loro stessa rovina.
Caratteristica peculiare delle protagoniste di Bloch sono le donne con i capelli rossi, le sue preferite in assoluto, ma di tanto in tanto non disdegna neanche le bionde; che siano angeli o demoni, queste donne meravigliose sono capaci di stregare le menti degli uomini che, obnubilati dalla malia femminile, diventano come incapaci di intendere e di volere, annientati totalmente dalla loro lussuria.


La giustizia di Bloch
 Nella maggior parte dei racconti, Bloch non lascia che sia il caso a porre la parola fine nelle sue storie, ma interviene personalmente a ridistribuire la giusta dose di giustizia, restando pur sempre imparziale. Una sorta di Dio giustiziere, un emissario del karma, che con la sua penna si assicura di far ripagare i torti subiti. Una giustizia mirata, ma soprattutto atroce.
Così, la piccola Irma, picchiata dal padre, porrà fine ai suoi abusi grazie a una bambola voodoo; Isobel, donna bellissima quanto crudele, finirà per essere ripagata con la sua stessa moneta; Joe, colpevole di uxoricidio, finirà col diventare succube dell’ombra della defunta sposa; Vincent, che vuole violentare la donna che l’ha rifiutato, finirà col ritrovarsi ad essere la vittima anzi che il carnefice; Curtis, che ha ucciso la moglie, resterà stregato dal manichino che le somiglia; Louise, che tradisce il marito, avrà un macabro destino ad aspettarla; Farley, che vende la sua anima al diavolo per possedere una donna, verrà ironicamente truffato da Satana.
Nessuno può farla franca, con Bloch come autore.


L’essenzialità dell’orrore  
Lo stile di Bloch è semplice, lineare, immediato. E proprio qui sta il bello. Pensate a Lovecraft o ad Edgar Allan Poe: il loro incessante intento di stupire il lettore si traduce in un’opulenza di parole che, se da un lato riescono anche a ricreare atmosfere lugubri e tenebrose, dall’altro fanno sorridere il lettore moderno che non può certo impressionarsi nella lettura prolissamente pignola delle loro opere. Bloch, invece, è essenziale e difatti riesce nel suo intento. Poche frasi riescono a creare perfettamente un’atmosfera di suspense e sospetto, di incognito misterioso che riesce a catturare totalmente chi legge.
Lo splatter c’è, ma in misura lieve e appena accennata, niente a che vedere con lo stile grandguignolesco di molti autori del genere, perché Bloch preferisce lanciare il dado e lasciare che sia il lettore a coglierlo.


Conclusioni
Beffardo e pungente, Robert Bloch è un autore poco valutato a cui invece andrebbe concessa una seconda possibilità, in quanto non ha niente da invidiare ai tanti altri scrittori che circolano in giro; il suo stile, la sua fantasia, l’ironia e il gusto per il macabro e il grottesco, ricordano molti racconti del ben più famoso Stephen King.

Dei tredici racconti che assemblano la raccolta, i migliori in assoluto sono: L’apprendista stregone, Tutti hanno bisogno di un po’ di amore e Notturno (stupendo).
L’apprendista stregone, il secondo racconto del libro, è riuscito veramente ad angosciarmi: il protagonista mentalmente instabile e l’atmosfera sinistra che permea l’intero racconto, accrescono pian piano quel malessere premonitore, quel sentore della coscienza che avverte che qualcosa non va. E difatti il finale è a dir poco inquietante.
Poi, ovviamente, tutto sta nell’autosuggestione di chi legge. 


Voto: ★★★½

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