domenica 22 febbraio 2015

Le notti bianche #I classici della domenica

Le notti bianche ( il cui titolo si riferisce al chiarore crepuscolare che in Russia e in altri paesi, nelle latitudini inferiori al circolo polare, sussiste fino a tarda sera in alcuni periodi dell’anno ) è un romanzo breve, o un lungo racconto, che dir si voglia, scritto nel 1848 da un giovane Fëdor Dostoevskij che si interroga sulla dicotomia tra il reale e l’immaginario.
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Ma perché fantastichiamo?
Forse perché la fantasia spesso è meglio della realtà.
E perché la fantasia è meglio della realtà?
Beh, perché la fantasia si può controllare, la realtà no.
Ma poi, perché abbiamo bisogno del controllo?
Perché, perché…perché siamo esseri umani.

Il sogno

La fantasia è il regno del possibile, della speranza e dei desideri.
La realtà è la realtà. Nella vita reale non possiamo avere il pieno controllo della nostra esistenza. Nella realtà regna l’ignoto, la paura, il dolore. E noi, in quanto esseri umani, non siamo certo impassibili di fronte a tutto ciò.
E’ per questo che il Sognatore, protagonista del breve romanzo di Dostoevskij, non può fare a meno di fantasticare.
Il Sognatore, il cui nome ci è ignoto, passa la sua vita nella solitudine totale; incapace di instaurare rapporti reali, egli passa la sua vita vagando per le strade di Pietroburgo, creando legami immaginari con i palazzi, con i passanti, con tutti ma con nessuno.

La vita del Sognatore è una vita di sensazioni; vive di attimi, di emozioni fatue e improvvise, qualsiasi cosa stuzzica la sua fantasia che scatena moti di gioia o d’inquietudine.
Il Sognatore ha vissuto mille vite ma allo stesso tempo neanche una.
Il Sognatore si crogiola nei suoi sogni, nelle sue fantasticherie, ride e piange, vive in un altro mondo e se ne compiace: lui può avere “tutto”, gli altri possono solo accontentarsi della realtà. Ma poi qualcosa cambia.
Anche la fantasia può impoverirsi, diventare arida e banale. Manca l’eccitazione, manca l’emozione, manca l’essenza del concreto. E allora, in cosa si traduce questa vita fatta di niente? In niente, appunto. In un’intera esistenza sprecata in un mondo lontano, incorporeo, inconcludente.

Il Sognatore non è un uomo, è un essere evanescente.

La realtà

Una notte, però, la prima notte, il protagonista si imbatte in una ragazza che piange, Nasten’ka. La compassione e l’affinità che scaturisce alla vista della giovane è subitanea, ma egli è troppo timido per avvicinarsi. La ragazza, accortasi di lui, si allontana, ma poco dopo viene importunata da un uomo. E’ l’occasione del Sognatore per avvicinarsi a Nasten’ka, dopo essere intervenuto contro il vecchio molestatore. Da questo spiacevole avvenimento nasce una bella amicizia tra i due, amicizia che presto si trasformerà in qualcosa di più per il triste Sognatore.
Cosa avviene difatti a questo punto? Il Sognatore decide di uscire dalla sua nicchia immaginaria, dal suo angolino fittizio, di provare a rientrare nel mondo degli esseri umani, e di vivere, almeno per una volta in vita sua, nella realtà.
Così i due si incontreranno durante le quattro notti successive, svelandosi e rivelando a vicenda i propri tormenti.

Nel raccontarsi, il Sognatore vive una dolorosa presa di coscienza nel comprendere appieno la vacuità e lo sperpero della sua esistenza, ma è altresì grato per aver incontrato Nasten’ka, è esaltato dalla nuova esperienza del contatto umano, si sente finalmente realizzato, uomo tra gli uomini.
Ma questa riconoscenza, questa amicizia, questo affetto, diventa, senza che l’uomo se ne accorga, amore. Amore al principio taciuto e sofferto in silenzio, ma col passare dei giorni l’esigenza di rivelare questo sentimento diventa sempre più forte, finché l’ultima notte, la quarta, il Sognatore non resiste, deve esprimere a Nasten’ka ciò che prova.
Nasten’ka però ama un altro uomo. Lo aspetta da un anno ma lui ancora non si fa vivo. Che fare? Nasten’ka ama il Sognatore, in un certo senso; è buono, è gentile, prova un sincero amore per lei. E allora, presa dallo sconforto per l’abbandono dell’altro, presa alla sprovvista dalla rivelazione dell’amico, Nasten’ka cede e si convince di amare il Sognatore. La gioia dell’uomo è inesprimibile. Iniziano progetti, iniziano altre fantasie. Poi, quell’uomo amato da Nasten’ka compare e il Sognatore è sconfitto. Le sue speranze sono infrante, la sua felicità perduta. E’ mattina.

Lo confesso, il senso di pena che ho provato è stato forte. La compassione che deriva dalla sua disillusione è quasi angosciante.

Conclusioni

Ma il punto di tutto il racconto qual è insomma? Vince la ricerca del piacere o la fuga dal dolore? E’ meglio rifugiarsi nei sogni, dove niente e nessuno può nuocerci, o mettersi in gioco nella dura realtà, anche a costo di rimanere feriti? E’ preferibile un dolce niente o una spietata tangibilità?
La risposta risiede nel proprio modo di vedere le cose e nelle esperienze personali che formano il nostro carattere e la conseguente presa di posizione verso la vita; comunque, stando a quanto afferma il Sognatore…

Dio mio! Un intero attimo di beatitudine! Ed è forse poco seppure nell’intera vita di un uomo?…
Io, dal canto mio, continuo a sognare ancora un po’. 

Voto: ★★★★

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