Nel caso non ve ne foste accorti,
stanotte è Halloween! Avete preparato i costumi da indossare? E i
sacchetti in cui mettere i dolcetti? E la fotocamera/i-phone con cui
scattare le foto della serata? Sì? Bene, ma state attenti.
Se al posto del vostro amico ubriaco dovesse apparirvi raffigurato un enorme cane nero…datemi retta…SCAPPATE!
Il Fotocane
Per il giorno del suo quindicesimo
compleanno, Kevin riceve in regalo la tanto desiderata macchina
fotografica e subito decide di inaugurarla con un ritratto di famiglia.
Mr e Mrs Delevan e la sorellina Megan si mettono in posa, un bel sorriso
e click! La foto viene sputata fuori dalla polaroid, ma invece della
famiglia attorno alla torta, i Delevan si ritrovano a fissare un cane
nero davanti ad un vecchio steccato bianco. Che diavoleria è mai questa?
Che sia un difetto? Uno strano scherzo? Kevin continua a scattare foto,
a vari soggetti in posti diversi, ma il risultato è sempre lo stesso:
il cane nero davanti allo steccato.
Desideroso di scoprire cosa si cela dietro quello strano fenomeno, Kevin
porta la sua Sun 660 al negozio di Pop Merrill, una sorta di factotum
della città. Ma nemmeno Pop è in grado di svelare il mistero che si cela
dietro la macchina fotografica. Osservando meglio le foto, però, Pop e
Kevin scorgono qualcosa di strabiliante: il cane della foto non è fermo!
È un cambiamento impercettibile eppure evidente: foto dopo foto, il
cane cambia posizione, fino a che non si accorge di essere fotografato. E
allora inizia a mostrare i denti.
Kevin comincia a intuire il pericolo della macchina e decide di
sbarazzarsi dell’oggetto prima che quell’essere mostruoso che si cela al
suo interno si sbarazzi di lui. Ma Pop ha in mente altri progetti…
Quattro dopo mezzanotte, caveat emptor
Il fotocane è un racconto ambientato a Castle Rock, vi dice niente?
Come spiega King nell’introduzione, Il fotocane è una sorta di punto d’incontro tra due romanzi: Cujo e Cose preziose.
Durante l’arco del racconto, infatti, il fotocane viene paragonato ad un
altro cane, un sanbernardo per la precisione, famoso nella cittadina
per aver provocato morte e scompiglio, Cujo, appunto.
Qui il riferimento è palese, mentre per quanto riguarda Cose preziose è molto più latente, anche perché ai tempi della stesura del racconto, il romanzo non era ancora stato pubblicato.
Ne Il fotocane facciamo così, per la prima volta, conoscenza
con lo sceriffo Pangborn, Polly e Pop Merrill, che risulta essere lo zio
di Ace in Cose preziose.
La tecnica del crossover è spesso usata da Stephen King, che si diverte
nell’intrecciare tra loro fatti/personaggi/luoghi di diversi romanzi;
personalmente ‘odi et amo’ questo espediente narrativo perché se da un
lato provo una sorta di esaltazione nel riconoscere e rincontrare vecchi
personaggi, dall’altro mi innervosisce quando i fatti di cui si parla
sono avvenuti in romanzi che ancora non ho letto (in questo caso Cujo).
Altra peculiarità di King è la
modalità con la quale si ha la rottura dell’equilibrio iniziale dei
personaggi; due, infatti, sono le situazioni che solitamente portano il
protagonista alla complicazione della storia: o il tizio in questione se
la va letteralmente a cercare (e allora vien da sé che se lo merita),
oppure il tizio è semplicemente un povero sfigato che, meramente per
caso, si ritrova ad aver a che fare con orribili avversità ( al che, un
pensiero spontaneo subito emerge: “ma perché, poveraccio, proprio a
lui?”)
E’ il caso di Kevin, quindicenne con la testa a posto, che, come regalo
di compleanno, si ritrova tra le mani una macchina “stregata” molto
pericolosa.
Rientra invece nella prima categoria Pop Merrill; avido strozzino e
furbo come una faina, Pop decide di tenersi la macchina per avidità,
sperando di venderla a qualche stralunato appassionato di esoterismo, ma
sfortunatamente per lui nessuno sembra interessato.
Pop è persino consapevole del pericolo della macchina ma non gli
importa. L’unica cosa che conta sono i soldi. È abbastanza scontato che
da agente diventi agito, succube della malia della macchina che ormai è
sempre più potente.
Di nuovo, poi, come in Il Poliziotto della Biblioteca,
notiamo come i sogni siano la chiave ricorrente di King per permettere
al protagonista di trovare la soluzione al suo problema; è proprio
grazie ai suoi incubi se Kevin riesce a capire come fermare il fotocane.
D’altronde, la notte porta consiglio, no?
Conclusioni
Dopo ben tre lunghi (e quando dico
lunghi, intendo lunghi) racconti, devo ammettere che ho fatto fatica a
leggere quest’ultima storia; non perché non fosse meritevole come le
altre, ma forse arrivare a quota quattro, tutto di seguito, è stato
troppo per me. Devo ammettere comunque che è stato il racconto che mi ha
coinvolto di meno.
I migliori restano senz’altro I langolieri e Finestra segreta, giardino segreto.
Voto: ★★★
Il ciclo di Halloween dei “brividi del
venerdì” finisce qui ( alleluia!). Mi raccomando, divertitevi stanotte,
recitate ‘trick or treat’, ma non fate troppo tardi: dopo la mezzanotte
possono accadere fatti strani e misteriosi!
Buonanotte e sogni…da paura! ;)
Per un lettore credo non esista
posto più bello di una biblioteca. Un luogo sicuro, calmo, silenzioso,
dove fantasia e realtà diventano magicamente un tutt’uno. Ma cosa
succede se la biblioteca in questione si rivela un luogo oscuro, tetro,
abitato da spaventosi spettri del passato che dimorano in silenzio, in
attesa di cibarsi delle tue paure?
Il Poliziotto della Biblioteca
Su consiglio della bella segretaria
Naomi, Sam si reca alla biblioteca pubblica di Junction City alla
ricerca di un libro che lo aiuti nel redigere il discorso che dovrà
tenere presso il noto circolo del Rotary Club la sera stessa. Sam non va
spesso in biblioteca, anzi mai, ma quella in particolare istintivamente
non gli piace: l’atmosfera fredda e austera, gli alti soffitti scuri e
il silenzio mortale che vi regna, lasciano dentro di lui una sensazione
di gelido timore; ad aumentare il suo disagio sono i manifesti
terrificanti appesi nella sezione dei ragazzi. Uno in particolare evoca
in lui un senso di atavico terrore: il manifesto che avverte di
riportare i libri in tempo se non si vuole avere a che fare con la
polizia bibliotecaria. Però, che idiozia! Non esiste una polizia
bibliotecaria! Eppure, quell’uomo minaccioso ritratto nel manifesto è
capace di inquietare Sam fin nel midollo.
La conoscenza con Ardelia Lorz, la bibliotecaria, non migliora certo le
sue prime impressioni: una vecchia signora che sorride con le labbra, ma
dallo sguardo di ghiaccio, faziosamente gentile e compita che non
accetta di essere contraddetta. Una vecchia arpia, insomma.
Il discorso di Sam è un successo
clamoroso e nei giorni successivi il pensiero dei libri e della
biblioteca è ben lontano da lui, preso com’è dal suo lavoro e i suoi
impegni. Ma il messaggio di Ardelia Lorz nella segreteria telefonica di
Sam gli ricorda che il termine è scaduto, e il poliziotto della
biblioteca non tarda a presentarsi a casa sua. Alto come un colosso,
bianco come un cadavere, lo sguardo truce e una cicatrice sotto
l’occhio, il poliziotto del manifesto è adesso in carne ed ossa a casa
di Sam. Il suo aspetto minaccioso non inganna sulle sue intenzioni. Sam
dovrà riconsegnare i libri alla biblioteca o il coltello che tiene in
mano finirà presto nella sua gola.
Letteralmente terrorizzato, Sam comincia a cercare i libri ovunque ma
non riesce a trovarli da nessuna parte; cerca di fare mente locale e
finalmente ricorda dove li ha messi: nella scatola in cui tiene i
giornali vecchi che Dave Duncan, il barbone alcolizzato della città,
raccoglie e porta alla discarica ogni settimana, per racimolare qualche
soldo.
I libri sono definitivamente perduti e Sam è in preda al panico all’idea
di dover riaffrontare il poliziotto della biblioteca. Ma chi sono lui e
Ardelia Lorz? Perché le persone a cui chiede informazioni sulla donna
cominciano a urlare sgomente?
L’unico a sapere qualcosa è proprio il vecchio Dave Duncan, e solo lui e
Naomi possono aiutarlo. Sam ancora non lo sa, ma presto dovrà
affrontare una presenza malefica che ha a che fare con il suo passato e
le sue paure più recondite.
Le tre di notte: vieni con me, figliolo…fono un poliziotto
Il Poliziotto della Biblioteca
è un racconto “multistrato”, in cui due sono i principali nuclei
narrativi: la storia che ruota attorno a Sam e quella che si incentra su
Dave.
Due episodi evidentemente diversi che si intersecano goffamente tra
loro: da una parte Sam e il suo Poliziotto della Biblioteca, dall’altra
Dave e la malefica Ardelia.
King utilizza lo stratagemma della ‘storia nella storia’ per convogliare
le due vicende in un unico racconto, espediente a cui l’autore ricorre
altre volte, ma con il quale stavolta fa cilecca.
Il risultato infatti, almeno a parer mio, è un po’ disastrato: anche
accettando questo connubio generale, si percepisce una disomogeneità
globale dell’opera; due storie troppo dissimili per amalgamarsi, che
finiscono solamente per cozzare l’una contro l’altra.
Schematizzando il racconto viene fuori una struttura di questo genere:
Sam si reca in biblioteca- Sam conosce Ardelia Lorz- Il manifesto del
poliziotto della biblioteca fa riaffiorare paure infantili di Sam- Sam
perde i libri- Dave è il responsabile- Il poliziotto della biblioteca fa
visita a Sam -Sam si reca da Dave- Dave racconta di Ardelia e la sua
storia- Sam ricorda l’uomo-talpa, il suo poliziotto della biblioteca-
Dave, Sam e Naomi vanno alla biblioteca per combattere Ardelia.- Ardelia
vuole Sam – Sam sconfigge il suo poliziotto della biblioteca e Ardelia.
Insomma, le sequenze narrative hanno
un che di forzato, prive di un legante concreto _ vi basti pensare al
fatto che l’unico trait d’union delle due vicende è la semplice
conoscenza tra Sam e Dave _.
Il poliziotto personale di Sam è
l’uomo-talpa, un uomo che, dichiarandosi poliziotto della biblioteca,
violenta il piccolo Sam, ma il poliziotto della biblioteca raffigurato
sul manifesto ad opera di Dave è completamente diverso. Allora mi
chiedo: come diavolo fa Sam a collegare istintivamente due figure tanto
diverse? È solo la formula magica “poliziotto della biblioteca” a
riaprire in lui il varco con un passato tanto doloroso e ormai rimosso?
Probabilmente, ma così si spezza quel legame, quel continuum
tematico/narrativo che si andava formando col poliziotto del manifesto,
un personaggio che di per sé bastava a rendere interessante la storia, e
che invece finisce per essere solamente un figurante.
Il trauma infantile di Sam non ha
niente a che fare con Ardelia Lorz: è questo che spezza la storia in
due. E King si è sforzato di riunire i cocci.
I libri, poi, non sono altro che un semplice pretesto di Ardelia, e dello stesso King, per dare il via a tutto ciò che segue.
Che dire poi di Ardelia Lorz? Una
figura losca, oscura, che detiene un fascino morboso sia su Dave che sul
lettore. L’aura malefica e misteriosa che circondano Ardelia ed il
timore superstizioso legato al suo nome, la rendono un personaggio
intrigante e vincente.
Ma (perché c’è sempre un ‘ma’) King decide di optare per una scelta non
poco demenziale; se Ardelia fosse stata una strega, un vampiro, un
demone, quello che vi pare, sarebbe stata perfetta,
ma renderla una sorta di mostro alieno ha un che di trash spaventoso. Un alieno/insetto molliccio/ mutaforme? maddai! E’ una caduta di stile mostruosa!
Certo è che il bello di King è anche
questo: fregarsene altamente di tutto e di tutti e spiazzare il lettore
anche con trovate a dir poco kitsch.
Conclusioni
Il Poliziotto della Biblioteca
parte non bene, ma benissimo. Poteva arrivare ad essere una storia
veramente bella, ma, ahimè, King cade di tono (vabbè dai, ti perdono).
Di nuovo, come in Finestra segreta, giardino segreto, vi è
quell’angoscia che attanaglia il lettore nel compartecipare allo stato
emotivo ansiogeno che pervade il protagonista, impossibilitato nella sua
corsa contro il tempo, alla ricerca di quei libri maledetti che possono
costargli la vita (oltre che la sanità mentale).
Quindi, ordunque, lo consiglio? Nì. Non è un racconto imperdibile, ma
nemmeno così pessimo; se siete fan/groupie/collezionisti dell’autore,
viene da sé il monito/dovere interiore di leggerlo.
Comunque, in ultimo ma non ultimo, un doveroso accorgimento: la scena
della violenza sul piccolo Sammy è descritta in modo orribilmente vivido
e impietoso, indi astenersi se gentili d’animo e troppo sensibili.
Bye.
Voto: ★★★
Rieccoci alle prese con Quattro dopo mezzanotte by Stephen King.
Quest’oggi parliamo di Finestra segreta, giardino segreto, forse più noto agli ingenui spettatori come Secret window.
Ebbene sì, Secret window non è altro che una scadente riproduzione cinematografica di questo racconto. Ma del film parlerò dopo.
Finestra segreta, giardino segreto
State dormendo beatamente sul divano
di casa vostra quando un tizio mai visto né sentito bussa alla vostra
porta e vi accusa di plagio. È quello che succede a Mortimer Rainey,
scrittore di mediocre successo, reduce da una dolorosa separazione dalla
sua ormai ex consorte Amy.
L’intransigente straniero lascia a Mortimer una copia del suo
manoscritto, che si rivela praticamente identico al vecchio racconto di
Mort, “Finestra segreta, Giardino segreto”.
La coincidenza è troppo straordinaria perché sia dovuta a un caso, ma
Mort è sicuro che sia stato ill misterioso Shooter a copiarlo e non
viceversa. Ma, come afferma John Shooter, servono le prove e Mort è in
grado di dimostrare la paternità del racconto grazie alla data di
pubblicazione su una rivista custodita nella sua vecchia casa di Derry.
Tre giorni sono il limite di tempo che Shooter concede a Mort perché
recuperi la suddetta rivista, _a patto che esista!_ dopo di che Mort
dovrà prepararsi al peggio.
Per avvalorare ulteriormente le sue minacce, Shooter uccide il gatto di
Mort usandolo come promemoria. Contemporaneamente la casa di Derry
finisce ridotta in cenere dalle fiamme di un incendio chiaramente
doloso, e addio rivista.
È evidente che Mortimer è alle prese con un vero e proprio psicopatico.
Così chiede al vicino, Greg Carstairs, di controllare i movimenti di
Shooter e di andare dal vecchio Tom Greenleaf che, passando col suo
furgoncino, li ha visti parlare insieme e forse sa qualcosa su questo
John Shooter, nazionalità Mississippi.
Nel frattempo Mort si reca a Derry, dove trova Amy e il suo nuovo compagno Ted, per parlare con la polizia e l’assicurazione.
Tra Mort e Ted non corre buon sangue, essendo quest’ultimo l’uomo che Mort ha sorpreso a letto con Amy mesi prima.
Concluse le formalità, Mort torna a Tashmore, dove Greg lo informa che
Tom afferma di non aver visto nessuno assieme a lui. Perché Tom mente?
Che Shooter lo abbia minacciato? Sarà bene parlare direttamente con Tom,
ma prima Mort chiama il suo editore per chiedergli di farsi spedire la
rivista sulla quale si trova il suo racconto. Prima finisce questa
storia e meglio è. Ma quando Tom non si presenta a lavoro e Greg
all’appuntamento che si erano dati, Mort capisce che è già troppo tardi.
Abbandonata su un sentiero nel bosco, Mort ritrova la macchina di Greg
con dentro lui e il vecchio Tom, morti. Nel cranio di Greg e Tom, il
cacciavite e l’ascia di Mort. Quel pazzo di Shooter è stato in casa sua!
Ne è la prova il cappello nero di Shooter che trova sulla veranda di
casa.
L’unica chance di salvarsi è la rivista. E finalmente arriva, ma…
Le due di notte. È Stagione di semina
In questo racconto di King ci troviamo
alle prese con uno scrittore affetto da un disturbo dissociativo di
identità e schizofrenia. Spunto già di per sé interessante, è reso
ancora più accattivante da due fattori: 1. il fatto che fino alla fine
non sappiamo che Mort Rainey e John Shooter sono in realtà la stessa
persona; 2. la motivazione inconscia che spinge la coscienza di Mort a
questa tremenda scissione della sua mente.
Perché, infatti, Mortimer Rainey, uomo che ha vissuto un’esistenza in
fin dei conti normale, si ritrova all’improvviso a soffrire di una
malattia mentale grave come un disturbo di personalità multipla?
Tutto ha origine da un episodio accaduto nella giovinezza di Mort; al
college, Mortimer frequenta un corso di scrittura creativa in cui è uno
dei più bravi, ma migliore di lui è il compagno John Kintner. Un
racconto in particolare riscuote enorme successo nella classe, “Il corvo
e la volpe”, racconto che Mort conserva senza ben sapere perché.
Dopo qualche anno, Mort invia ad una rivista vari racconti che
puntualmente vede respinti, così decide di mandare il racconto di
Kintner firmandolo col suo nome. Ma quando “Il corvo e la volpe” viene
accettato, Mortimer si ritrova a dover combattere contro una crisi di
coscienza morbosa, un senso di colpa ai limiti del parossismo. Comincia
addirittura a progettare il suicidio nel caso qualcuno riconosca il suo
furto letterario.
Ma il tempo passa e il terrore di un’accusa di plagio scema, finché
l’inconscio di Mort non decide di seppellire definitivamente
quell’episodio scabroso della sua vita nei reconditi più oscuri del suo
cervello.
Mort è ormai un affermato scrittore
quando i lavori per la trasposizione cinematografica di una sua storia
vengono bloccati per la scoperta dell’esistenza di una sceneggiatura
simile al suo romanzo. E Mort rivive il trauma della vergogna di un
possibile plagio, nonostante stavolta sia del tutto innocente e vi siano
semplicemente delle somiglianze tra i due scritti.
Nessun vero problema a livello legale quindi, ma la mente di Mortimer silenziosamente scava nel passato. E scava, e scava.
L’immagine di Amy e Ted a letto
insieme è come una folgore che si imprime nella mente di Mort. La
pistola che ha portato con sé non è carica, giusto?
Una mente fragile, fragilissima, che
colpo dopo colpo si infrange definitivamente. Questa è la causa del
crollo di Mort: una mente troppo debole dinanzi ai duri attacchi che la
vita gli lancia contro.
Insomma, perché compare John Shooter? Shooter è sì la nemesi di Mort, ma
è anche il suo personale giustiziere, la voce della sua coscienza che,
stanca di tenersi dentro un senso di colpa tanto forte, riemerge
trionfante, ormai senza controllo. Non si tratta più di riparare a un
torto del passato, adesso è il momento di pagare, e con gli interessi.
E allora quel racconto di vitale importanza, “Finestra segreta, giardino segreto”, non potrà mai essere ritrovato.
Il perché, poi, si concentri su un
racconto che in realtà è frutto della sua testa, è stato per molto tempo
un punto interrogativo, finché ho pensato che, probabilmente, la sua
mente malata si sia concentrata su quel racconto perché era l’unico che
avesse riscosso un successo tangibile: così come aveva rubato il
racconto di Kintner, adesso aveva rubato quello di Shooter, come se
secondo il suo cervello fosse impensabile supporre Mort capace di
scrivere un vero successo.
E se in un primo momento mi ero
chiesta: _ma che senso ha informare Greg se così facendo dopo lo deve
uccidere?_, poi ho finalmente capito: la necessità di uccidere Tom e
Greg è data semplicemente dal fatto che Mort deve avvalorare, deve concretizzare, l’esistenza dello psicopatico che la sua mente ha creato.
Non solo.
Il fatto che Shooter utilizzi il cacciavite e l’accetta di Mort serve appositamente ad incolparlo, è la sua coscienza che lo punisce letteralmente per ciò che ha fatto in passato.
Per questi motivi non ho minimamente apprezzato il film.
Secret window
Se nel racconto, l’origine scatenante
del tracollo di Mort è il suo senso di colpa, nel film tutto ciò viene
semplicemente imputato all’infedeltà della moglie. Un tantino scarso,
non trovate? Il tradimento di Amy è stato il fattore scatenante, la
classica goccia che ha fatto traboccare il vaso, ma non il motivo
primordiale. Anche perché se così fosse, metà della popolazione mondiale
dovrebbe dare di matto e sdoppiarsi in uno psicopatico omicida. Poi che
c’entra, la mente umana è un mistero data la sua imprevedibilità, ma mi
pare comunque esagerato come presupposto.
Sta di fatto che, a causa di questa manipolazione narrativa, nel film
viene completamente travisata la causa dello sdoppiamento di Mort e
diventa quindi assurdo il fatto che Mort nasconda le uccisioni di Tom e
Greg (cosa che infatti nel racconto non avviene, in quanto sono la sua espiazione);
la mente non è mai del tutto divisa, l’inconscio è uno ed uno soltanto,
quindi non ha senso che Mort informi Greg di Tom e Shooter, e che poi
questi li ammazzi perché non si possa risalire a lui, e Mort ne occulti i
cadaveri perché altrimenti verrebbe incolpato. Mi seguite?
Non mi è piaciuta neanche la scelta
del regista di rivelare la pazzia di Mort tutta insieme, spiegando per
filo e per segno come sono andate le cose.
Secondo me sarebbe stato più d’effetto tenendo all’oscuro lo spettatore
fino all’ultimo: Mort torna a casa e indossa il cappello di Shooter. La
scena si sposta su Amy che arriva a Tashmore, entra in casa e trova
tutto a soqquadro. Poi appare lui, Shooter.
Non sarebbe stato più d’impatto in questo modo?
Poi ovviamente, per avvalorare la creazione di Shooter nella mente di
Mort secondo l’adattamento cinematografico, il suo nome si è ricomposto
in ‘shoot her’, sparale, cioè a lei, Amy, che è la causa del suo delirio.
In ultimo il finale, completamente
diverso dal libro; le due personalità si fondono in un tutt’uno e il
“nuovo” Mort traduce in realtà il finale del suo racconto.
Ecco, questo finale non ha senso: in questo modo sembra che la mente di
Mort abbia creato Shooter solo per far emergere la parte “cattiva” di
Mort, il quale alla fine, prendendo coscienza del suo lato oscuro, si
“riappacifica” e ricongiunge con la personalità abusiva di Shooter. Ma
la sindrome di personalità multipla non funziona così: sì, l’altra
personalità emerge per difesa, dopo un trauma o forti repressioni del
Super Io, per dirla alla Freud, ma non può semplicemente rifondersi alla
personalità di base, perché si tratta di identità completamente
diverse, con la propria indole e peculiarità.
Quindi, insomma, no, non mi è piaciuto affatto il film.
Conclusioni
Come lo stesso autore afferma nell’introduzione al racconto, Finestra segreta, giardino segreto riprende quella tematica (ovviamente con delle differenze) dello sdoppiamento che già era presente ne La metà oscura
(che vi consiglio assolutamente di leggere!), in cui il bene e il male
fanno parte della stessa faccia della medaglia. Non esiste il buono e il
cattivo, esistono solo le nostre scelte che inevitabilmente ci portano
ad essere ora l’uno, ora l’altro.
C’è da dire anche che Finestra segreta, giardino segreto non è
il solito racconto di King: molto più introspettivo, è un racconto
claustrofobico, un crescendo di tensione psicologica in cui un senso di
apnea ansiogena accompagna il lettore in concomitanza con il
protagonista; se Mort perde sempre più pezzi quanto più la rivista non
viene ritrovata, così anche noi ci sentiamo intrappolati nella morsa
letale di Shooter.
Il finale, quello vero, è poi un classico di King, in cui la realtà e il
soprannaturale si mescolano e niente è certo. Neanche per il lettore.
Voto: ★★★★
Quattro dopo mezzanotte è
una raccolta di racconti fanta-horror scritti da Stephen King; le ultime
edizioni italiane sono divise in due volumi, contenenti due racconti
ciascuno, ma io ho recuperato una vecchia edizione che presenta
interamente le quattro storie. I quattro, lunghi, racconti che troviamo
in questo libro sono:
- I langolieri
- Finestra segreta, giardino segreto
- Il Poliziotto della Biblioteca
- Il fotocane
Come ho detto non si tratta di
racconti brevi, ma di storie che potrebbero benissimo essere considerate
come dei romanzi brevi, ragion per cui tratterò di questi racconti
separatamente.
Ha inizio il ciclo di Halloween della rubrica “I brividi del venerdì” con Quattro dopo mezzanotte.
Stay tuned!
I langolieri
Il comandante Brian Engle, pilota di
linea, riceve la notizia della morte della sua ex moglie proprio dopo
aver sostenuto un lungo e difficile volo da Tokyo verso Los Angeles.
Senza nemmeno avere il tempo di riprendersi un attimo, si imbarca sul
volo diretto a Boston, per raggiungere la salma della defunta. La
spossatezza per il volo precedente catapulta Brian nel mondo dei sogni.
A risvegliare Brian è l’urlo di Dinah, una bambina cieca che, dopo
essersi svegliata dal suo pisolino, si ritrova completamente sola e
terrorizzata. Non meno spaventato sarà Brian quando scopre che l’aereo
si è misteriosamente spopolato; unici superstiti del volo 29 sono lui,
Dinah, il giovane Albert, il vecchio scrittore di gialli Bob Jenkins, il
misterioso Nick Hopewell, la bella Laurel, l’adolescente Bethany, il
signor Gaffney, il famelico Rudy Warwick e il mentalmente instabile
Craig Toomy.
Dove diavolo sono finiti gli altri passeggeri? Persino il personale
dell’aereo si è volatilizzato nel nulla. Che sia uno scherzo? Un sogno?
No, è tutto troppo spaventosamente reale. Ad aumentare il
panico contribuiscono la vista del niente fuori dei finestrini e
l’impossibilità di contattare qualcuno via radio (nonostante gli
strumenti di bordo funzionino come loro solito).
Che fare dunque?
Brian prende subito il controllo dell’aereo rimasto sotto la rotta del
programma del pilota automatico. Raggiungere Boston, il cui aeroporto è
di difficile atterraggio già in condizioni normali, è troppo rischioso,
così Brian decide di fare scalo a Bangor.
L’atterraggio riesce, ma ciò che i pochi passeggeri rimasti hanno
trovato al loro risveglio sul volo 29 si ripete nell’aeroporto di
Bangor: il deserto completo. Ma non solo. L’elettricità non funziona, il
cibo è insapore, gli odori inesistenti, persino l’aria ed il suono sono
anomali, come ovattati, senza vita.
Dopo numerose elucubrazioni si arriva ad una possibile spiegazione:
durante il volo, l’aereo ha attraversato uno strappo temporale,
catapultando i presenti nel passato e, per qualche motivo sconosciuto,
solo chi dormiva è rimasto in vita, gli altri si sono vaporizzati,
spariti nel nulla.
A complicare le cose c’è poi il signor Toomy, uno psicolabile in preda a
una crisi psicotica; lui deve andare assolutamente a Boston o i
langolieri lo prenderanno! Il suo crollo delirante è cominciato e si
sfoga su Dinah prima, e su Gaffney dopo.
Ma chi sono i langolieri? Secondo Craig sono degli esseri mostruosi che
si accaniscono sulle persone pigre e indolenti, così come gli raccontava
suo padre quando era piccolo.
Che siano dunque i langolieri la causa dello strano, quanto inquietante, rumore che man mano si fa sempre più forte?
Nessuno sa il perché, ma di una cosa sono tutti convinti: se ne devono andare. Ma dove?
Forse il varco temporale che li ha catapultati nel passato è ancora
aperto; forse ripercorrendo la stessa rotta al contrario riusciranno a
tornare nel presente. Forse.
Intanto l’unica cosa da fare è andarsene, prima che quel rumore mostruoso si avvicini. Ancora di più.
È l’una di notte e tutto va bene (o quasi)!
L’idea di fondo de I langolieri è buona; il racconto è scritto e strutturato bene (per forza, si tratta di King), ma vi sono altresì dei punti deboli.
Primo, l’errore più grossolano, e di
cui sinceramente non capisco la ragione se penso ad un professionista
come King, è il fatto di aver posto il passato a levante. Secondo il
movimento rotatorio della Terra, sarebbe stato logico capovolgere il
volo da Boston verso Los Angeles per far sì che l’aereo si ritrovasse
nel passato, no? Quindi perché?
Secondo punto: solo attraverso
l’incoscienza si può viaggiare nel tempo? Perché mai? Il tempo è anzi
una concezione percepibile solo tramite la coscienza; sebbene il tempo
esista a prescindere da qualsiasi cosa, resta pur sempre un concetto che
si associa alla ragione umana; per gli animali, che sono privi di tale
percezione, il tempo infatti non esiste.
Allora, se durante il sonno la ragione è assopita, in quel frangente il
tempo non esiste, quindi sarebbe stato più probabile supporre che chi
dormiva sarebbe scomparso nel nulla, e chi fosse rimasto sveglio si
sarebbe ritrovato catapultato nel passato.
Terzo. Se anche tutti i passeggeri
fossero rimasti svegli, perché loro si sarebbero volatilizzati nel
niente, mentre l’aereo no? Il tempo ha effetto sulla materia, di
qualsiasi tipo si tratti. Perché un essere umano dovrebbe
smaterializzarsi nel nulla ed un aereo no? Il tempo è tempo e la materia
è materia.
Ovviamente, il punto 2 e 3 erano
necessari per lo sviluppo stesso della storia, altrimenti niente di ciò
che viene raccontato sarebbe potuto avvenire, e quindi li ho accettati
chiudendo un occhio; ma il primo punto trovo che sia veramente un
elemento disturbante nella linearità della logica della storia (se di
logica vera e propria si può parlare visto il tema arcano).
Caratterizzazione dei personaggi
I personaggi di King sono sempre più o meno i soliti:
- il protagonista, l’eroe indiscusso della storia (Brian Engle)
- Il ragazzino sveglio (Albert Kaussner)
- il bambino particolare, dotato di non meglio definibili poteri psichici (la piccola non vedente Dinah)
- la bella mediamente intelligente e arguta, insomma lo stereotipo femminile di King (Laurel Stevenson)
- il vecchio saggio (Bob Jenkins)
- personaggi inutili di contorno (Gaffney, Warwick)
- lo psicopatico di turno (Craig Toomy)
Il personaggio di Craig Toomy è
magnificamente rappresentato nella sua turbe psichica: l’infanzia
traumatizzata dalla rigida disciplina del padre e dai suoi racconti
terrificanti sui langolieri, la sua adolescenza mortificata dagli abusi
della madre alcolizzata, hanno reso Craig il perfetto, futuro, psicotico
paranoide. Se da un lato la sua morbosa ossessione di andare a Boston
sia un tantino odiosa di fronte all’evidenza di una situazione ben più
grave che raggiungere Boston, dall’altro è un personaggio che ispira
profonda pena se si pensa al perché sia diventato quello che è.
La sua morte poi è l’ennesimo abuso che quel sadico di King affibbia
sulle spalle del povero Craig: una morte inverosimile e, proprio per
questo, più spettacolare e terribilmente impietosa.
Merito della penosa dipartita di Craig è anche Dinah, bambina che, sebbene cieca, ha il potere di una seconda vista e di riuscire a spingere quel povero folle di Craig verso la sua morte.
Questa volta però King ha aggiunto un
personaggio nuovo, diverso dal suo solito stile, che io ribattezzerò
come “il figo cazzuto” ( lo so, è un termine molto professional ), alias
Nick Hopewell.
Personaggio in buona parte enigmatico, è altresì evidente che la vita di
Nick ha a che fare con l’esercito o simili: quando Craig comincia a
dare in escandescenze urlando di andare a Boston, Nick, con una presa
subitanea, intrappola tra le sue dita il naso di Craig “Gircollo” Toomy.
Forte, agile, intelligente, freddo e razionale, senza mancare comunque
di istinto e di spirito, l’inglese Nick Hopewell rappresenta il
prototipo dell’uomo perfetto.
E quindi King cosa fa? Pensa bene di toglierlo di mezzo proprio all’ultimo.
La rabbia.
Se ho potuto trovare un difetto a Nick è stato proprio sul finale; il
voler fare l’eroe e sacrificarsi per gli altri, non solo ha un che di
inverosimilmente troppo eroico e “romantico”, ma mi ha dato personalmente sui nervi! E che cacchio, sei il più figo della storia e vuoi morire?!
Ripeto, la rabbia.
Finale sgargiante
A concludere la storia è un finale
scenografico. Per rendere il tutto più spettacoloso, King aspetta a dare
la buona notizia, e subito ho imprecato pensando che la morte di Nick
fosse stata inutile. Ma non è così.
Se il passato è morto, allora il futuro non solo è vita, ma è una vera e
propria nascita. Se il passato è scialbo e misero, il futuro è un
trionfo di colori ed estasi. Ed è proprio così, infatti, che i
superstiti del volo 29 tornano alla loro realtà: in un’esplosione di
sensazioni e gioia di vivere.
Conclusioni
Il primo racconto che apre il volume di Quattro dopo mezzanotte è un viaggio nella fantascienza, accompagnata qua e là da sprazzi di sano horror 100% stile King.
La trama di questo racconto è un susseguirsi di imprevisti che affannano
gli sfortunati protagonisti fino alla fine. Non c’è tempo per riposare,
non c’è tempo per pensare. Il ritmo incalzante e la curiosità morbosa
spingono il lettore in un’irrefrenabile lettura tra le pagine di persone
scomparse, viaggi temporali e mostruose creature divora-tutto
denominate, appunto, i langolieri.
Voto: ★★★★