America oggi
è un’antologia di dieci racconti scritti da Raymond Carver, che hanno
ispirato la sceneggiatura per il film omonimo di Robert Altman (Short cuts).
Sui dieci
racconti che fanno parte della raccolta, solo due emergono vittoriosi
dalla nube d’inconcludenza generale che permea gli altri, uno più
insignificante dell’altro, in cui non c’è finale, non c’è proprio trama,
non c’è niente.
Un conto è il minimalismo, un altro è l’inconcludenza.
Lo stile
pressoché minimalista (anche se Carver non ha mai voluto essere
etichettato) non preclude al piacere della lettura di questi racconti;
ciò che invece è esasperante è la totale assenza di significato.
Un conto è cogliere un significato sottinteso, non esplicitato, un altro è inventarsi di sana pianta un significato che questi racconti a parer mio non hanno affatto. Ma non è nemmeno questo il punto.
Se le aspettative del lettore non fossero alimentate da fasulle recensioni, allora mi andrebbe anche bene. Si prenderebbe la raccolta per quello che è: semplici scorci senza capo né coda e stop. Ma siccome nella critica si parla di piccoli drammi, ecco che allora non va più bene. Quali sarebbero questi drammi? Ripeto, devo inventarmeli io? Devo forzare una chiave di lettura interpretativa in cerca di un significato che in realtà è totalmente assente? Il dramma nel primo racconto, Vicini, sarebbe che lui è un travestito latente? Che la coppia resta chiusa fuori dalla porta? O forse è l’invidia che i due provano per i vicini? E nel secondo racconto Loro non sono tuo marito, il dramma starebbe nel desiderio del marito di vedere la moglie desiderabile agli occhi altrui? O è forse la figura del marito stesso un dramma? Perché un uomo che impone alla moglie una dieta ferrea per sentirsi appagato dal giudizio estetico della società effettivamente è un dramma. Un dramma di essere umano! Sì, forse è proprio questo il dramma, ma quand’anche fosse così, si tratta di una speculazione forzata.
Nei racconti di Carver non ci sono svolte, non c’è pathos.
Al che, qualcuno può contestare dicendo che Carver vuole semplicemente raffigurare la quotidianità. Quotidianità? A me pare di cogliere una quotidianità piuttosto inverosimile nella maggior parte dei racconti (pensate alla scenetta con quel gorilla di Nelson in Vitamine). Vi pare sul serio una scena verosimile? A me per niente.
Un conto è cogliere un significato sottinteso, non esplicitato, un altro è inventarsi di sana pianta un significato che questi racconti a parer mio non hanno affatto. Ma non è nemmeno questo il punto.
Se le aspettative del lettore non fossero alimentate da fasulle recensioni, allora mi andrebbe anche bene. Si prenderebbe la raccolta per quello che è: semplici scorci senza capo né coda e stop. Ma siccome nella critica si parla di piccoli drammi, ecco che allora non va più bene. Quali sarebbero questi drammi? Ripeto, devo inventarmeli io? Devo forzare una chiave di lettura interpretativa in cerca di un significato che in realtà è totalmente assente? Il dramma nel primo racconto, Vicini, sarebbe che lui è un travestito latente? Che la coppia resta chiusa fuori dalla porta? O forse è l’invidia che i due provano per i vicini? E nel secondo racconto Loro non sono tuo marito, il dramma starebbe nel desiderio del marito di vedere la moglie desiderabile agli occhi altrui? O è forse la figura del marito stesso un dramma? Perché un uomo che impone alla moglie una dieta ferrea per sentirsi appagato dal giudizio estetico della società effettivamente è un dramma. Un dramma di essere umano! Sì, forse è proprio questo il dramma, ma quand’anche fosse così, si tratta di una speculazione forzata.
Nei racconti di Carver non ci sono svolte, non c’è pathos.
Al che, qualcuno può contestare dicendo che Carver vuole semplicemente raffigurare la quotidianità. Quotidianità? A me pare di cogliere una quotidianità piuttosto inverosimile nella maggior parte dei racconti (pensate alla scenetta con quel gorilla di Nelson in Vitamine). Vi pare sul serio una scena verosimile? A me per niente.
America oggi? E che America allora!
I fondamenti sociali dell’America:
fatti i fatti tuoi e bevi che ti passa
L’America di Carver è un’America alquanto squallida che si riassume principalmente in due parole: indifferenza e alcolismo.
Alla maggior parte dei protagonisti non importa niente di quello che accade loro intorno, purché non accada a loro, ma in alcuni casi il disinteresse è tale che essi non si curano neanche delle loro stesse vite. Tanti piccoli étrangers, oserei dire, intrappolati o adagiatisi (a seconda dei casi) nel grigiore delle loro esistenze. Il problema è che nessuno si sforza più di tanto per cambiare – La vita è questa. – e qui sta il vero dramma.
Il sidro dell’America è l’alcol, che si tratti di birra o si tratti di whisky poco importa.
Mi ha dato un sincero fastidio leggere di tizi perennemente alticci, se non ubriachi, con il bicchiere o la bottiglia sempre in mano. Dio mio, ubriaconi, scuotetevi dai vostri fumi alcolici! Non si tratta di ragazzini dementi in cerca di eccitazione, ma si parla di trentenni, dei così detti adulti! Ma effettivamente di adulti in questa raccolta se ne trovano ben pochi. Non si può essere considerati adulti a priori solo perché si ha un lavoro, una casa e una famiglia. Infatti la maggior parte dei personaggi si rivela essere una banda di perenni adolescenti, immaturi ed egoisti. Questo è il popolo di Carver.
Qualcuno che si salva c’è
Come ho scritto in precedenza, non tutti i racconti si perdono nel niente. Due in particolare sono molto ben riusciti e degni di nota: Con tanta di quell’acqua a due passi da casa e Una cosa piccola ma buona. Questi sono gli unici due racconti che riescono a trasmettere qualcosa di concreto e profondo.
Limonata in un certo senso si accomuna a Una cosa piccola ma buona (che è veramente bello per quanto triste), ma è troppo breve _ più che un racconto vero e proprio è una sorta di poesia sui generis_ per poter far presa sul serio, ma forse c’è qualcuno che l’apprezzerà di più proprio per la sua incisività.
Con tanta di quell’acqua a due passi da casa
Finalmente un dramma vero, tangibile, inequivocabile: quello dell’indifferenza, appunto, che in questo racconto è palpabile all’ennesima potenza.
Quattro uomini decidono di andare a pesca lungo il fiume, per qualche giorno, su in montagna. Al loro arrivo scoprono riverso nell’acqua il cadavere di una giovane donna, nuda. Ma hanno camminato per diverse miglia prima di arrivare lì e lei ormai è morta. Che fretta c’è? Così, con mio grande disgusto, i quattro amici trascorrono, come da programma, le loro giornate in montagna come se niente fosse: bevono whisky, dormono, bevono whisky, pescano, lavano le stoviglie lì nel fiume, a pochi metri dalla ragazza, bevono whisky, giocano a carte, si raccontano storielle sporche, dormono, bevono whisky, pescano, bevono whisky. Ah già, si sono anche assicurati che la corrente non trascinasse via il corpo della giovane, legandole il polso alle radici di un albero (che premurosi!).
Decidono di tornare a casa un giorno prima del previsto e, a una stazione di servizio, chiamano finalmente lo sceriffo.
Claire Kane, la moglie di Stuart, uno della combriccola, non appena viene a conoscenza dell’accaduto entra in crisi. Com’è possibile che degli uomini restino completamente impassibili di fronte al cadavere di un altro essere umano?
Stuart non capisce nemmeno quale sia il problema. Era morta.
Questa spaventosa ottusità e la totale noncuranza con la quale è rimasto in montagna con gli amici, allontanano Claire sempre di più. Tutti vanno avanti, a nessuno importa niente di quella povera ragazza. Ma per Claire è il punto di rottura. Non riesce a darsi pace per il comportamento del marito. La donna comincia a interrogarsi sul significato della sua vita, sul suo passato, sull’esistenza stessa. Tutto andrà avanti come se niente fosse.
Ma no, non è più possibile oramai.
Stuart, che continua a non capire niente, tenta di riavvicinare la moglie con dei “ti amo” a caso, privi di significato, passando poi ai bruschi “vai all’inferno” ogni qualvolta la moglie rifiuta i suoi importuni approcci sessuali. Stuart è un uomo incapace di empatia e sensibilità; sempre attaccato alla sua lattina di birra o al suo bicchiere di whisky, riesce solo a pensare al sesso. Stuart non è un uomo, è una bestia.
Claire invece è un essere umano. E’ una donna, è una madre, è una persona. Diventa quindi un dovere morale per lei, non appena si scopre l’identità del cadavere, assistere ai funerali della ragazza. Quella ragazza, che suo marito ha pensato bene di lasciare a mollo ancora un po’ (tanto era già morta!), era a sua volta una persona, con una famiglia e degli amici che le volevano bene.
Questo racconto è amaro. Siamo esseri umani legati dall’indifferenza per il prossimo. Siamo soli, cinici, abbandonati a noi stessi. Ma per fortuna c’è ancora qualcuno che, come Claire, si rifiuta di dimenticare il valore e la dignità che ogni individuo merita.
Conclusioni« Non è giusto: quella lì era già morta, no? […] E che cavolo, io non ci vedo niente di male! […] Quella era morta, morta, morta, hai capito? » […]« Ma è proprio questo il punto », dico io. « Era morta. Non capisci? Aveva bisogno di aiuto » .***« Cristo santo, Stuart, era solo una bambina! »
Decisamente, questo scrittore non fa per me. Ho avuto aspettative troppo alte per poi restare solamente delusa.
Sarà un mio limite, ma la mia ottusità mentale fa sì che io debba trovare una qualche trama, un evento, un significato, insomma qualcosa in una storia per poterla apprezzare.
Comunque un aspetto positivo che ho ammirato con piacere c’è. Lo stile narrativo di Carver: semplice, essenziale, scorrevole. Si legge bene insomma. In alcuni racconti poi, la prosa assume addirittura un che di poetico, pur trattando di quotidiane banalità.
Insomma l’arte del raccontare c’è, solo che non mi ritrovo d’accordo sul ‘cosa’ raccontare.
De gustibus.
Voto: ★★
Non ho mai letto Carver.
RispondiEliminaHo in libreria Di cosa parliamo quando parliamo d'amore e Il mestiere di scrivere. Del primo ho assaggiato la prefazione di Diego De Silva, che parlava appunto dell'inconcludenza cui ti riferisci: da come l'ha spiegato, a pelle, potrebbe non dispiacermi, ma ovviamente bisogna verificare nei racconti.
Devo dire che ho intrapreso Carver impreparata; mi aspettavo di leggere dei racconti tradizionali, con un inizio ed una fine ben precisi.
EliminaMi è stato poi detto (mi devo informare meglio) che fu il suo redattore (o editore?) a consigliargli di troncare i finali, proprio per renderlo più particolare, cosa che alla fine è. Io ce l'ho un po' con il suo redattore, son sincera, avrei voluto sapere come andavano a finire le storie, per altro scritte benissimo.
Comunque se presi per quello che sono, dei racconti fini a se stessi, non risultano sgradevoli.
Vedremo come va con la prossima raccolta.